Ero l’essenza della bellezza in
un’epoca in cui la bellezza era l’essenza di tutto, ero il tormento dei Medici,
l’ossessione di Botticelli, la gelosia delle nobildonne, lo sguardo gentile che
illuminò la allora già splendente Firenze. Il mio volto compariva ovunque, ero
icona di un’era, cantata dai poeti, Musa degli artisti, Venere ritrovata. Ero
Simonetta Cattaneo Vespucci, la sans par, come mi definì il Magnifico. Sono morta
giovane, troppo giovane, dicono per tisi o è stato il veleno a uccidermi? Un
fiore reciso dal vento, strappato alla terra che lo nutrì per poco tempo. Poco
si sa della mia vera storia e per questo le leggende sul mio conto sono
proliferate. Su di me e sulla più grande signoria d’Italia.
IL PROLOGO
Ero l’essenza della bellezza in un’epoca in cui la bellezza era l’essenza di
tutto, ero il tormento dei Medici, l’ossessione di Botticelli, la gelosia delle
nobildonne, lo sguardo gentile che illuminò la allora già splendente Firenze.
Il mio volto compariva ovunque, ero icona di un’era, cantata dai poeti, Musa
degli artisti, Venere ritrovata. Ero Simonetta Cattaneo Vespucci, la sans par,
come mi definì il Magnifico. Sono morta giovane, troppo giovane, dicono per
tisi o è stato il veleno a uccidermi? Un fiore reciso dal vento, strappato alla
terra che lo nutrì per poco tempo. Poco si sa della mia vera storia e per
questo le leggende sul mio conto sono proliferate. Su di me e sulla più grande signoria
d’Italia.IL PROLOGO
Ero l’essenza della bellezza in un’epoca in cui la bellezza era l’essenza di
tutto, ero il tormento dei Medici, l’ossessione di Botticelli, la gelosia delle
nobildonne, lo sguardo gentile che illuminò la allora già splendente Firenze.
Il mio volto compariva ovunque, ero icona di un’era, cantata dai poeti, Musa
degli artisti, Venere ritrovata. Ero Simonetta Cattaneo Vespucci, la sans par,
come mi definì il Magnifico. Sono morta giovane, troppo giovane, dicono per
tisi o è stato il veleno a uccidermi? Un fiore reciso dal vento, strappato alla
terra che lo nutrì per poco tempo. Poco si sa della mia vera storia e per
questo le leggende sul mio conto sono proliferate. Su di me e sulla più grande
signoria d’Italia.
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IL PROLOGO
Ero l’essenza della bellezza in un’epoca in cui la bellezza era l’essenza di tutto, ero il tormento dei Medici, l’ossessione di Botticelli, la gelosia delle nobildonne, lo sguardo gentile che illuminò la allora già splendente Firenze. Il mio volto compariva ovunque, ero icona di un’era, cantata dai poeti, Musa degli artisti, Venere ritrovata. Ero Simonetta Cattaneo Vespucci, la sans par, come mi definì il Magnifico. Sono morta giovane, troppo giovane, dicono per tisi o è stato il veleno a uccidermi? Un fiore reciso dal vento, strappato alla terra che lo nutrì per poco tempo. Poco si sa della mia vera storia e per questo le leggende sul mio conto sono proliferate. Su di me e sulla più grande signoria d’Italia.
L’Arno si tinse dei colori del tramonto in un’esplosione di rosso e di
arancio, nelle sue acque possenti galleggiavano le tante storie mosse da un
vento nuovo, il vento della Rinascita.
Camminando con la solita lentezza, il poeta
Agnolo Poliziano assorbì con lo sguardo quell’immagine, ne trattenne l’attimo:
le grida delle donne chine a lavare i panni, i cavalli poco lontano ad
abbeverarsi, i pastori con le loro pecore.
La Firenze laurenziana stupiva per
l’imponente architettura e il trionfo d’arte che la rendeva unica agli occhi di
chi la osservava. Brunelleschi, Donatello, Masaccio furono tra gli artisti che
avevano dato alla città il suo nuovo volto, quello che Poliziano ammirava nella
sua passeggiata. L’aria tiepida di aprile e i colori radiosi di un’esplosa
primavera avvolgevano le forme floride della città che tutti chiamavano la
Dominante.
Venezia era stata battuta, l’alleanza con il
ducato di Milano, che da quando era subentrato Galeazzo Maria Sforza si era
inasprita, sembrava ora migliorata, così come i legami con la Chiesa. Lorenzo
di Piero de’ Medici, pur giovanissimo, fu abile a gestire con diplomazia e
ordine i rapporti con gli altri stati, una dote che Cosimo il Vecchio, suo
nonno, gli aveva trasmesso.
Osservando col naso per aria, totalmente rapito
dalla maestosità della Cupola, Poliziano si ritrovò a mormorare una frase
dell’architetto e umanista Leon Battista Alberti: “Structura si grande, erta
sopra e cieli, ampla da coprire con la sua ombra tutti e popoli toscani”.